L’intelligenza della città 
è appesa alle relazioni

By Nunzia Borrelli 

Sempre più di frequente, politici, tecnici e amministratori oltre a sviluppare politiche e a implementare pratiche, si interrogano e partecipano a discussioni sulla “forma” della città contemporanea, sulla sua evoluzione, su quali debbano essere gli  sviluppi ad essa più consoni, su come la “città” possa positivamente rispondere ai bisogni della gente.

La questione non è nuova, al contrario è stata,nel corso del tempo,formalizzata in vario modo. Italo Calvino, ad esempio, già nel 1972 scriveva: “D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.Oggigiorno l’attenzione continua a essere centrata sulla capacità della “città” di intercettare e soddisfare la domanda degli individui, ma i termini della discussione sono mutati con un riposizionamento dell’asse della riflessione su questioni che ineriscono al coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali e nella governance urbana o sul ruolo delle nuove tecnologie nella diffusione di innovazioni.Il confronto su questi temi ha portato all’introduzione di nuovi termini come “città intelligente” e“città digitale”,orientati a esprimere l’importanza delle nuove tecnologie come volano per lo sviluppo economico e l’innovazione sociale, oppure smart city che, pur riconoscendo alle nuove tecnologie un ruolo fondamentale, si distingue dalle precedenti in quanto attribuisce una maggiore importanza alla dimensione umana e a tal fine introduce termini come smart community e smart people.

A dare un contributo alle questioni poc’anzi menzionate sono, tra altri e in maniera molto diversa tra loro, due studiosi stranieri che saranno ospiti di Laboratorio Expo della Fondazione Feltrinelli ed Expo Milano 2015: Robert Hollands dell’University of Newcastle uponTyne e Jana Carp del Saint Mary’s College of California [1].

Robert Hollands è noto per aver definito il concetto di smart cities e aver spiegato quando una città si può definire smart. In altre parole, una città non può considerarsi smart se non è in grado di stimolare la valorizzazione del capitale umano, ossia se non è in grado di mettere le persone che la abitano, la vivono, in condizioni di sviluppare al meglio le proprie capacità. In questo contesto, un ruolo centrale è attribuito alla costruzione di reti: reti che riguardano le relazioni tra individui, ma anche relazioni tra individui e oggetti, soprattutto le nuove tecnologie. Le nuove tecnologie, infatti,rendono una città smart quando da patrimonio di pochi riescono a diventare capitale condiviso e sono al servizio delle diverse popolazioni urbane. La capacità di fare rete e di creare delle forme di fiducia,sia tra gli individui sia con le nuove tecnologie, si rivela essere la chiave di volta della smart city, in quanto è la presenza stessa di queste relazioni a essere fucina di nuove progettualità.

La crescente importanza attribuita alle relazioni e alla capacità di azione degli individui avvicina i sostenitori del modello smart ai fautori di quello slow. Una città slow tenta di implementare a livello locale e territoriale i valori di slow food e di far dialogare in maniera proficua la dimensione sociale, più legata all’azione degli uomini, con quella ecologica. Jana Carp, nel mettere a fuoco le caratteristiche principali di una slow city, attribuisce un’importanza rilevante alla dimensione delle resilienza. Nello specifico, la resilienza, che indica la capacità di sopportare e reagire a shock esterni senza riportare gravi danniè attivata e implementata a scala urbana attraverso l’incentivazione di meccanismi collaborativi tra diversi attori del territorio, inclusa la società civile. Nello specifico,la Carp parla di adaptive governance per indicare pratiche di governo della città che si basano sulla costruzione di reti sociali. Aspetto centrale di questo processo è la produzione e la messa in circolazione di conoscenza,nonché lo sviluppo di forme di apprendimento che contribuiscono a far maturare negli attori coinvolti una certa capacità di reazione agli eventi, classificabile come attitudine alla resilienza.

Integrare queste due prospettive è uno degli scenari più promettenti della ricerca in questo settore, infatti la convergenza dei focus di studio e anche degli obiettivi e delle risposte a molti problemi  indicano che le posizioni smart e slow ben lungi dall’essere antagoniste presentano numerose sovrapposizioni. Ragionare su tali sovrapposizioni e progettare azioni che ne tengano conto rappresenta una sfida e un’opportunità non solo per gli analisti ed i progettisti, ma soprattutto per la città nella sua complessità, che nel recuperare “tracce” di capitale umano, si rivela in grado di “tracciare” i contorni del proprio futuro.

#smartcity